Una breve storia della “pesca con la mosca”

La “pesca con la mosca” viene oggi praticata da milioni di appassionati in tutto il mondo. Tuttavia, com’è ovvio che sia, questa affascinante tecnica di pesca ha acquisito una propria ed autonoma disciplina soltanto con il passare del tempo. Pertanto, nelle prossime righe, cercherò di analizzare brevemente le tappe fondamentali che hanno contraddistinto questo lungo percorso storico.

Quando l’uomo preistorico iniziò a scoprire la generosità di mari, laghi e fiumi, iniziò allo stesso tempo ad escogitare sistemi per poter catturare dei pesci; ciò che in origine non era altro che cibo con cui sfamare il nucleo familiare. Infatti, come dimostrato nel 2011 da un gruppo di ricercatori della “Australian National University”, i primi ami per la pesca risalgono addirittura al Paleolitico, creati tra 23.000 e 16.000 anni fa da un gruppo di pescatori dell’isola di Timor Est.

Detto questo, è presumibile che non si dovette attendere molto tempo prima che qualche intraprendente pescatore iniziasse ad utilizzare delle semplici piume come esche, ovvero come imitazioni di insetti che egli stesso aveva notato essere uno dei bocconi prediletti di alcune specie ittiche. La lunga storia della “pesca con la mosca” mosse i primi passi proprio in quel momento.

Ora, non possiamo essere sicuri in merito a quando tutto questo ebbe inizio; quello di cui possiamo però essere sicuri è che intorno al 200 D.C., il filosofo e scrittore romano Claudio Eliano, scrisse il “De Natura Animalium”. A questo punto vi starete chiedendo: perché quest’opera è così importante quando parliamo di “pesca con la mosca”? Per rispondere a questa domanda ho deciso di riportare un noto estratto dell’opera in questione che reputo alquanto esemplificativo allo scopo.

“[…] Ho sentito di un metodo Macedone di catturare il pesce, e consiste in questo: tra Boroea e Tessalonica scorre un fiume chiamato Astraeus, dove si trovano dei pesci con una livrea puntinata; come i nativi di quel paese lo chiamino è meglio chiederlo ai Macedoni. Questi pesci si alimentano su una mosca tipica di quel paese, che volteggia sopra il fiume. Non è come le mosche che si trovano altrove, e non sembra nemmeno una vespa nell’aspetto o nella forma, qualcuno la descriverebbe come un’ape o un moscerino, ma presenta qualcosa di entrambi. Fastidiosa come una mosca, grande come un moscerino, colorata come una vespa e ronza come un ape. I nativi generalmente la chiamano Hippouros. Queste mosche cercano il cibo a pelo d’acqua, ma non sfuggono allo sguardo dei pesci che nuotano sotto di loro. Quando un pesce osserva una mosca sulla superficie, risale lentamente, avendo cura di non smuovere l’acqua al suo disopra, per paura di scacciare la preda, quindi emerge dalle tenebre, apre lentamente la bocca ed ingoia la mosca, come un lupo porta via una pecora da un ovile o un aquila un oca dall’aia; fatto questo torna sotto l’increspatura dell’acqua. Ora, nonostante, i pescatori lo sappiano, non la utilizzano assolutamente come esca per pescare; perché se una mano umana la tocca, esse perdono il loro colore naturale, le loro ali appassiscono, e diventano cibo poco attrattivo per il pesce. Per questa ragione di esse non se ne fecero nulla, le odiavano per questa brutta caratteristica; ma pianificarono un metodo per pescare, traendone il meglio grazie all’abilità manuali dei pescatori. Fissano lana rossa attorno ad un amo, e fissa alla lana due piume che crescono sotto il bargiglio del gallo, e che assomiglia al colore della cera. Le loro canne sono lunghe sei piedi, e le lenze della stessa lunghezza. Lanciano la loro trappola, il pesce, attratto ed eccitato dal colore, sale diritto su di essa, pensando che quella vista corrisponda ad un delicato boccone; apre le fauci, ed invece si gusta un amaro pasto, rimanendo catturato all’amo […]”.

Al fine di capire meglio questa breve descrizione di epoca romana, vorrei cercare di farvi immergere per un istante tra le righe di Claudio Eliano, ma con gli occhi di noi pescatori contemporanei. 

In altri termini, volendo contestualizzare questo testo ai giorni nostri, accadde in buona sostanza che l’Autore si ritrovò sulle rive del fiume che oggi viene denominato Arapitsas, che si trova tra Veria e Salonicco, nella regione greca della Macedonia (lo Stato macedone viene infatti chiamato Macedonia del Nord proprio per distinguerlo dalla regione greca della Macedonia), e vide dei pescatori locali catturare dei pesci dalla livrea puntinata, presumibilmente una trota del tipo Salmo Macrostigma (una specie autoctona dell’area mediterranea), grazie all’imitazione di un particolare insetto che io credo appartenga alla famiglia degli Stratiomyidae, dell’ordine dei Ditteri; insetti che nella loro struttura fisica presentano infatti tanto gli elementi della mosca quanto quelli della vespa o dell’ape. Così come si evince dalle parole di Claudio Eliano, l’utilizzo di quella particolare tecnica “con la mosca” rispondeva alla necessità di ovviare ad un problema di non poco rilievo, ossia trovare un’alternativa al fragile e non efficace innesco di insetti vivi i quali, una volta trapassati con l’amo, morivano in pochissimo tempo e perdevano la colorazione, ovvero la loro capacità attrattiva.

Tuttavia, la “pesca con la mosca” come oggi la conosciamo si è iniziata ad affermare in Europa nel XV secolo e, se vogliamo comprendere quale sia stato il tragitto storico (e storiografico) che ha portato alla nascita ed alla affermazione della “pesca con la mosca” moderna, dobbiamo volgere lo sguardo all’Inghilterra; un Paese molto spesso legato alla evoluzione della pesca sportiva europea.

Infatti, nel Regno Unito, in quel periodo, erano già nate le prime canne artigianali ad innesti e munite di anelli guida-lenza; mentre i primi mulinelli a bobina rotante avevano visto la luce molto tempo prima in Asia, così come dimostrato da alcuni dipinti cinesi del XII secolo, tra cui “Il pescatore sul lago d’inverno” di Ma Yuan (1195). In questo contesto, occorre comunque tener presente che la pesca sportiva nell’Europa del XV secolo era riservata a pochissime persone, quelle che avevano più tempo a disposizione, vale a dire le persone che non avevano bisogno di lavorare, e che avevano i mezzi economici per poter reperire (o meglio, farsi costruire da abili artigiani) le nuovissime attrezzature a cui ho poc’anzi accennato. A titolo di esempio, tra queste persone vi erano i membri della famiglia reale inglese, che indirettamente contribuirono a diffondere la “pesca con la mosca” in tutto il Regno Unito e soprattutto tra le famiglie aristocratiche del Paese.

Dal punto di vista storiografico, proprio in quel periodo, sempre in Gran Bretagna, vide la luce il primo volume in materia di pesca sportiva. Del resto, per poter analizzare le origini e gli sviluppi di un qualsiasi soggetto od oggetto, è necessario soffermarsi sulle tracce scritte, le uniche che valgono come testimonianza di quanto accaduto nel passato e che dunque riflettono un percorso storico.

Nel 1496, Juliana Berners, una badessa del “Priorato di Santa Maria di Sopwell” nell’Hertfordshire (poco a nord di Londra), scrisse “A Treatyse of Fysshynge wyth an Angle”.

In sintesi, questo testo ha posto le primissime basi della “pesca con la mosca” modernamente intesa. Infatti, Juliana Berners aveva per la prima volta elaborato un vero e proprio manuale di pesca sportiva, includendo alcune istruzioni per la costruzione di dodici mosche differenti, sia per la pesca della trota che del temolo.

Alla luce delle attrezzature allora disponibili, nonché dello sviluppo tecnologico, economico e sociale dell’epoca, si dovette attendere più di un secolo per assistere ad un parziale mutamento dello status quo. Infatti, durante il XVI secolo la situazione rimase pressoché invariata e la “pesca con la mosca” pareva aver acquisito una sorta di stabilizzazione che era in verità soltanto apparente.

Infatti, nel 1600 John Taverner scrisse “Certain Experiments Concerning Fish and Fruite” il primo testo ad entrare nel merito dello studio dell’entomologia (quel ramo della zoologia dedicato agli Esapodi, ossia agli insetti) relazionandolo alla “pesca con la mosca”. Si tratta di un libro particolarmente importante perché affrontava in modo analitico il ciclo vitale, e gli stadi di sviluppo che lo contraddistinguono (uovo, neanide, ninfa, subimmagine, immagine), di uno degli insetti più conosciuti nel panorama della “pesca con la mosca”: le effimere, o efemerotteri. Un ordine di insetti emimetaboli terrestri che popolano la maggior parte dei corsi d’acqua dolce in tutto il mondo.

A ben guardare, durante il XVII secolo sono stati molti i pescatori inglesi che hanno contribuito ad ampliare il quadro delle fonti bibliografiche in materia di pesca sportiva; ciò che ha riguardato, tanto direttamente quanto indirettamente, anche la “pesca con la mosca”, a riprova della sua importante diffusione. Tra i principali testi del settore possiamo ricordare “The Secrets of Angling”, scritto nel 1613 John Dennys, compagno di pesca del famoso drammaturgo e poeta William Shakespeare. Sono anche gli anni in cui ha visto la luce uno dei libri più conosciuti con riferimento all’attività piscatoria in generale: “The Compleat Angler” di Izaak Walton.

Un testo che ha conosciuto molteplici edizioni, dalla prima del 1653 fino alla quinta del 1676. In particolare, quest’ultima edizione venne integrata da una seconda parte, composta da dodici capitoli intitolati “Instrunctions on How to Angle for Trout and Grayling in a Clear Stream” scritti da Charles Cotton, grande amico di Izaak Walton. Attraverso la scrittura delle sue pagine, Charles Cotton fornì importanti delucidazioni sia su come “pescare con la mosca” che su come costruire in modo corretto ed efficace varie imitazioni di insetti. Non a caso, è proprio Charles Cotton ad essere considerato, da molti pescatori ed esperti del settore, il vero “padre” della “pesca con la mosca”.

In epoca successiva, e dunque tra i secoli XVIII e XIX, grazie anche all’aumento del commercio tra l’Impero coloniale britannico ed i Paesi d’Oriente, la seta iniziò gradualmente a sostituire le vecchie lenze intrecciate in crine di cavallo, che tra l’altro avevano un diametro uniforme e non potevano essere dotate di maggiore conicità per una migliore precisione e lunghezza nel lancio. Inoltre, in quegli anni iniziarono a comparire mulinelli ed attrezzature più moderne e funzionali. Insomma, la rivoluzione industriale e lo sviluppo del commercio influenzarono tutto il mondo della pesca sportiva e le sue attrezzature di base. Pertanto, anche la “pesca con la mosca” subì gli effetti di questo radicale cambiamento sociale ed economico che ha toccato in particolar modo il Regno Unito. Infatti, fu proprio in quel periodo che le idee di Samuel Philippe e Hiram Leonard determinarono la nascita della prima canna da pesca europea in bambù, un altro materiale che (come la seta) proveniva dal continente asiatico e che (sempre come la seta) forniva la possibilità di lanciare a distanze maggiori e con più precisione, dal momento che queste nuove canne da pesca erano generalmente elastiche, leggere, maneggevoli e presentavano una maggiore “azione di vetta”.

Sempre dal punto di vista storiografico invece, nel 1747 Richard Bowlker scrisse “The Art of Angling”, che ha segnato un nuovo inizio nelle moderne tecniche di costruzione degli artificiali.

Ma i pescatori inglesi dell’epoca, ed europei in generale, dovettero attendere circa un secolo per poter leggere il primo studio illustrato che, sulla falsa riga della precedente opera di John Taverner, poneva in relazione (questa volta dal punto di vista strettamente scientifico e più particolareggiato) l’entomologia e la “pesca con la mosca”, con specifico riferimento alla pesca delle trote e dei temoli. Sto parlando di “The Fly Fisher’s Entomology”, scritto da Alfred Ronalds nel 1836.

Insomma, era evidente che tutto il settore alieutico era ormai un qualcosa che andava ben al di là della semplice cattura di pesci o del puro diletto e che gradualmente ha iniziato anche a distinguersi come attività rispetto alla ricerca del cibo che ne ha contraddistinto le primissime origini. La variegata letteratura che, come avrete avuto modo di capire era essenzialmente di matrice britannica, costituisce la prova di quanto ho poc’anzi affermato. Un nuovo approccio che ha posto le basi per un cammino che ha segnato il percorso evolutivo della pesca sportiva, e quindi anche della “pesca con la mosca”. Oltre all’ingresso sul mercato di nuove attrezzature, la pesca sportiva iniziava a diffondersi anche tra le classi meno agiate; del resto, i trasporti ferroviari erano ormai una realtà ed in molti Paesi, specie in Inghilterra, tutti i pescatori avevano la possibilità di muoversi per godersi le loro giornate di pesca. Sempre su suolo britannico nascevano le prime Associazioni dilettantistiche, le prime competizioni nazionali, i primi negozi specializzati e tutto un intero settore industriale dalle grandi potenzialità. 

Alla luce di quanto precede, il XX secolo non poteva che fare il resto, nel senso di agevolare ancora di più la diffusione della “pesca con la mosca” anche al di là del continente europeo. Le nuove tecniche e le nuove attrezzature attraversarono dunque l’oceano Atlantico e si diffusero anche negli Stati Uniti d’America, ancora una volta agevolati dallo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni. Iniziarono inoltre ad emergere altre innovazioni come le canne in fibra di vetro e poi, in epoca più recente, quelle in fibra di carbonio; apparvero poi sul mercato nuove fibre sintetiche che hanno portato alla nascita delle moderne “code di topo” e dei primi monofili in nylon. Anche la tecnica del “catch and release” ha iniziato a diffondersi proprio nel corso della seconda metà del XX secolo. In definitiva, tutto il Novecento, ad eccezion fatta per il periodo bellico, ha determinato numerosi ed importanti mutamenti che sono giunti fino ai giorni nostri.

A titolo di esempio, pensiamo alle prime idee rivoluzionare dell’avvocato britannico George Edward MacKenzie Skues (1858-1949) che, con lo sdegno e l’orrore dei molti “puristi” dell’epoca, scrisse “Minor Tactics of the Chalk Stream” e “The Way Of A Trout With A Fly” in cui analizzava la pesca in profondità con le mosche “sommerse”; ciò che ha determinato un ampliamento sostanziale dell’ambito applicativo di questa tecnica di pesca. Infatti, basta guardarsi intorno per capire come la “pesca con la mosca” non conosca più confini e venga ormai praticata in ogni specchio d’acqua e persino in mare. Non solo, se pensiamo allo scalpore suscitato dalle pagine di George Edward MacKenzie Skues ed osserviamo ancora una volta il mondo che ci circonda, non possiamo non renderci conto di come l’idea primordiale e fondamentale da cui ha avuto origine questo lungo percorso storico, ossia quella dell’imitazione dell’insetto (o della mosca che dir si voglia), venga sempre più accompagnata dall’utilizzo di nuovi materiali, nuovi colori, nuove forme e quindi da tutta una serie di innovativi stratagemmi che rendono la “pesca con la mosca” una tecnica lontana da quella che vide Claudio Eliano sulle rive dell’Astraeus.

Tuttavia, come spesso accade nella vita, siamo per natura destinati ad assistere a cambiamenti che ci costringono a ragionare ed a comportarci in modo diverso rispetto alle nostre abitudini. Per quanto detti mutamenti possano sembrare difficili da concepire, da assimilare e per quanto possano sembrarci irrazionali alla luce dei nostri personali schemi intellettuali, la storia in generale (e quindi anche quella della “pesca con la mosca”) ci ha dimostrato invece come sia necessario porsi in modo costruttivo nei confronti di tali cambiamenti e dunque a concepirli e con il tempo assimilarli, ragionando anche da punti di vista differenti dal nostro perché, del resto, è proprio dal pensare “fuori dagli schemi” che sono nate le più grandi forme di progresso.